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«Credo che le anime dei bambini siano gli eredi della memoria storica delle generazioni precedenti.»
Miyazaki

La mia esperienza universitaria si è conclusa a Torino con una ricerca sperimentale sulla rappresentazione delle diverse generazioni nella televisione italiana. Il progetto Linking generations mi offre l’opportunità di lavorare sul campo con l’oggetto da me studiato e analizzato. Il sociologo Mannheim spiegò il concetto di generazione come
«una categoria di persone appartenenti alla medesima società che, disponendo di uno spazio storico – sociale limitato di esperienze possibili, seguono una medesima tendenza nel modo di comportarsi, di sentire e di pensare. Queste modalità sono specifiche e riconoscibili. Mannheim rimarca che la questione della definizione di „generazione” non è riconducibile esclusivamente a un fattore anagrafico.»
Nel mondo convivono, per fortuna, persone di diverse età. In ogni epoca storica questa convivenza è stata caratterizzata da incomprensioni e scontri. Dagli Anni Sessanta in sociologia questi divari di idee e forme culturali che separano una generazione dall’altra sono chiamati „gap generazionali”.
Un esempio di gap generazionali è rappresentato dalla serie televisiva italiana La Famiglia Benvenuti:
La conclusione della serie televisiva La Famiglia Benvenuti vede il capofamiglia Alberto, la moglie Marina, il figlio Andrea e la governante Amabile comodamente seduti nel salotto di casa di fronte alla televisione. L’ultima riflessione del capo famiglia:
«Non si diventa mai tanto vecchi da non poter aiutare i figli. Sai, i figli avranno sempre bisogno di noi»
L’inserimento, al termine di questa prima frase, del primo piano di Andrea, l’unico figlio presente nella sequenza, enfatizza le parole di Alberto.
«Beh, certo, il tempo passa, sì. Ma io credo, o meglio, spero, che non siamo poi tanto vecchi da non poter imparare qualcosa da loro, ecco. »
La situazione attuale che si presenta in Europa, e al quale il progetto SVE Linking generations tenta di offrire una soluzione, è rappresentata dal divario nella conoscenza e nell’utilizzo dei nuovi media, in particolare quelli informatici. Questa discrepanza aumenta l’allontanamento generazionale dovuto, altresì, al prolungamento degli anni lavorativi delle persone in alcuni paesi dell’Unione Europea e al mutamento dei rapporti famigliari; le famiglie, infatti, sono ora formate da uno, massimo due figli e non prevedono la presenza dei nonni nella stessa casa dei nipoti come si usava un tempo.
Alfredo, Yana, Svetlana e Alessia hanno incontrato in un primo momento i ragazzi del liceo Iorga per introdurre con loro l’argomento portante del progetto, incominciando a parlare dei loro rapporti all’interno della famiglia. Se non l’avete ancora fatto, andate a leggere l’articolo: Missione (im)possibile: costruire un ponte fra generazioni differenti.
Il rapporto degli adolescenti in famiglia al giorno d’oggi è scherzosamente riassumibile con una battuta tratta dalla serie televisiva Sabrina vita da strega, in cui la protagonista, una ragazza di 16 anni metà strega e metà mortale, si sente rispondere dalle zie che la funzione della famiglia è solo quella esemplificata nel seguente dialogo:
«Avete guidato un’ora solo per dirmi delle frasi fatte?»
«A questo servono i parenti.»
«Ci ringrazierai quando avrai quarant’anni.»
Nel mese di giugno è avvenuto un secondo incontro con la medesima classe, nel quale i ragazzi hanno avuto l’occasione di confrontarsi su diversi temi.
Alfredo, il volontario spagnolo del progetto In action, affine al nostro, ha condiviso l’esperienza che ha vissuto nel suo paese con le persone anziane: esse, infatti, hanno l’abitudine di raccontare storie di vita ai giovani alle fermate degli autobus e e in metropolitana.
Yana, invece, ha raccontato che in Armenia le persone anziane sono estremamente rispettate e fanno parte della famiglia nella quotidianità, nonostante i problemi legati all’età che possono appesantire ulteriormente le generazioni successive.
Una soluzione per avvicinare gli adolescenti alle persone anziane qui a Braila esiste: diventare volontari per Club Voltin, attraverso il quale si possono organizzare diverse attività con gli anziani residenti in alcune case di riposo presenti sul territorio. Essere un volontario significa cominciare ad assumersi delle responsabilità per provare a cambiare le situazioni esistenti che, a parole, non piacciono a nessuno. Troppo spesso in televisione nei dibattiti politici diverse autorità si riempiono la bocca di promesse e numeri, senza però riuscire a fare la differenza nella vita quotidiana delle persone. Lavorare per un’organizzazione come No Profit significa rendere concreto il significato della parola DEMOCRAZIA , sulla quale si sono costruite le società moderne.
Le stampe artistiche presentate da Svetlana hanno fatto da apripista a discussioni su diversi argomenti.

La conclusione dell’incontro ha visto tutti concordi nell’affermazione che, per riscontrare un cambiamento della POLIS, è necessario impiegare le proprie energie per cambiare innanzitutto se stessi. La reale conoscenza di situazioni, cose e persone è di gran lunga preferibile alla più comoda, ma pericolosa, accettazione dei pregiudizi forniti da terzi, inclusi i media moderni, che invece bloccano l’incontro, frenando così il progresso dell’umanità.
Il corso 3G tenuto dallo psicologo Dan Ionut Dinca e dalla sua assistente Roxana Neleapca ha fornito le conoscenze relative alle principali caratteristiche delle differenti età con le quali sono in contatto i volontari EVS durante lo svolgimento del loro progetto:
 Bambini
 Adolescenti
 Anziani
Nell’età infantile, le caratteristiche principali sono la curiosità, che implica una vitalità mentale e fisica senza eguali, dovuta al fatto di non conoscere la maggior parte delle cose presenti nel mondo. Questo peculiare senso di novità si manifesta attraverso un comportamento che tende a emulare le persone che stanno loro attorno. Un esempio sono i giochi che fanno nel tempo libero, in piena autonomia: fare addormentare una bambola, cucinare, stirare o guidare un’automobile o un aeroplano. Nella narrazione televisiva italiana i bambini sono stati sempre presenti, divenendo spesso i portavoce principali del mondo adulto in cui erano inseriti. E’ così che nel 1968 la serie La Famiglia Benvenuti vede introdotta la famiglia protagonista attraverso la voce di Andrea, il più piccolo. Nel 2008 la fiction Tutti pazzi per amore adotta il medesimo meccanismo di presentazione, ma con semplici accorgimenti che denotano il mutamento della situazione famigliare e sociale ai giorni: infatti questa volta è una bambina a presentare i componenti della famiglia di cui fa parte, raccontando per mezzo telefono a una speaker radiofonica che il papà non abita con lei ma in America, e che con lei vivono la madre e il fratello di sedici anni. I mass media sono evidentemente legati al mondo dei bambini di oggi, che cercano mediante loro di dare un ordine al caos in cui sono spesso immersi.
Gli adolescenti affrontano i cambiamenti fisici, mentali ed emotivi più ardui: essi non sono più bambini ma non hanno ancora acquisito appieno l’indipendenza e la responsabilità che dovrebbero caratterizzare l’età adulta. La famiglia Benvenuti rappresenta la crisi avvertita dagli adolescenti attraverso la figura di Chigo che, complice il particolare momento storico nel quale era inserito, trova il coraggio di scontrarsi apertamente con il padre e il nonno su temi importanti come la libertà e il mal funzionamento in Italia del sistema delle adozioni.
«L’arrivo, nella conclusione della seconda stagione, di personaggi come Gino e Giulia, portano la diegesi dello sceneggiato a coincidere con il terzo aspetto individuato dalla Mead: la cultura pre figurativa, ovvero il momento in cui i giovani diventano gli unici portatori di cultura e gli adulti tentano di adeguarsi al loro modello di comportamento. La corrispondenza tra questo aspetto e lo sceneggiato televisivo è rimarcato dalla sequenza con cui La Famiglia Benvenuti si congeda dal suo pubblico: l’assenza di Ghigo, la frase con cui Alberto prova a rassicurare la moglie e il dettaglio delle immagini in cui la mano dell’uomo stringe quella della donna seduta accanto a lui sono gli elementi in accordo con quanto detto dall’antropologa. Altri due particolari significativi che collimano con questa tesi sono la voce intra diegetica della televisione che elenca le temperature del giorno seguente nelle città italiane e la voce extra diegetica di Andrea, all’inizio della sequenza, che riassume il prossimo obiettivo di Gino, Giulia, Ghigo e Simona:
«Insomma tutto bene, va! Ma adesso si sono entusiasmati per un’altra idea: adesso Gino ha cominciato a parlare di andare in giro per il mondo. Lui dice che per capire bene i problemi della gente, bisogna proprio viverli questi problemi. Si, va bene ma, parlano di certi posti! L’Angola, il Biafra, La Lituania, il Gabon! Ma dove li trovano questi paesi curiosi?! E chi glielo dice poi a loro che lì c’hanno tutti fame?!!»
Il sipario de La Famiglia Benvenuti si chiude definitivamente con la speranza di Alberto e di Amabile che il sole esista nel destino di tutti, e consenta di continuare a guardare il mondo attorno con gli occhi innocenti di un bambino. »

In Tutti Pazzi per Amore, invece, i ragazzi Emanuele e Cristina sono alle prese con i problemi derivanti dalle relazioni sentimentali e parlano apertamente con i genitori di sesso. Solo nell’ultima stagione viene rappresentata la situazione lavorativa dei giovani italiani, ironizzando sui lavori precari che molto spesso sono costretti ad accettare pur di portare a casa qualcosa. Ahimè, purtroppo la finzione si discosta poco dalla realtà.
L’ultima età generazionale descritta nel corso ha emotivamente colpito, per fattori personali, in particolare la sottoscritta. In questa ultima serie di incontri sono stati visualizzati alcuni video nei quali è stato detto che l’involuzione è la principale caratteristica di questa età. Attorno ai sessanta anni, infatti, le persone devono smettere di lavorare. Il prolungamento dell’età lavorativa non è la soluzione migliore per arginare il problema della solitudine delle persone anziane, perché in questa età le persone subiscono un inevitabile calo fisico, emotivo e psicologico che rallenta il rendimento. Senza contare che nelle case le figure dei nonni sono estremamente importanti per una crescita sana dei più giovani. Il momento del pensionamento, però, comporta nelle persone un iniziale senso di smarrimento: essi si sentono ora inutili e un peso per la società e per la famiglia. Se nel 1968 gli anziani sono stati rappresentati dalla televisione italiana come i custodi del buon costume e delle tradizioni ancestrali, nel 2008 si sdogana il mito della nonna casalinga, dedita esclusivamente alla cucina, alla cura del marito e dei nipoti. In Tutti Pazzi per Amore, infatti, Clelia, la nonna dei ragazzi della fiction, è un avvocato divorzista che solo alla fine di ciascuna stagione dimostra di amare i suoi nipoti con gesti espliciti. Le zie Filomena e Sofia, invece, sono addirittura due donne anziane estremamente religiose, che però non si sono mai sposate e che in principio non sanno cucinare.
La noia che caratterizza la terza età è stata oggetto di un romanzo del Novecento dello scrittore Alberto Moravia. Il protagonista racconta, però, che questo sentimento lo ha avvertito molto tempo prima:
«(…) Soprattutto quando ero bambino, la noia assumeva forme del tutto oscure a me stesso e agli altri, che io ero incapace di spiegare e che gli altri, nel caso di mia madre, attribuivano a disturbi della salute o altri simili cause. (…)
Su tutto questo non so dare altra spiegazione, se non che la contraddizione costituisce il fondo mobile e imprevedibile dell’’animo umano. (…)»
Pirandello ha spiegato attraverso il romanzo I vecchi e i giovani che diventare vecchi significa rendersi conto che gli esseri umani hanno preso l’abitudine a indossare maschere e a travestire se stessi.
«(…) Invecchio, sì; perdo il gusto di comandare. Me lo fa perdere la servilità che scopro in tutti. Uomini, vorrei uomini! Mi vedo attorno automi, fantocci che devo atteggiare così o così, e che mi restano davanti, quasi a farmi dispetto, nell’atteggiamento che ho dato loro, finché non lo cambio con una manata.(…) »

Attualmente, le generazioni più giovani sembrano avere molto più delle precedenti, ed indiscutibilmente a livello materiale è vero. Ma è anche vero che i giovani d’oggi sono, come ha detto lo scrittore David Foster Wallace, anche eternamente affamate:
«(…) Non ti conosco bene, e non so come sono fatti i tuoi amici, ma a me sembra che questa sia una generazione più triste, e più affamata. E la cosa che mi fa più paura è che, quando arriveremo noi al potere, quando saremo noi quelli di quarantacinque, cinquant’anni, non ci sarà più nessuno… Nessuno più anziano… Non ci saranno persone più anziane di noi che si ricorderanno la Grande Depressione o la guerra, persone che hanno alle spalle sacrifici considerevoli. E non ci sarà nessun limite ai nostri, come dire, appetiti, e anche alla nostra smania di sperperare le cose. (…) »
Anche in musica è possibile trovare riferimenti alle differenti generazioni, perché prima o poi tutti faremo parte di ognuna di esse: il tempo che passa più velocemente di quel che si pensa è narrato dagli Holograf in Vine o zi.
Stiu, un copil se naste acum.
Da, Stiu, un batran isi ia ramas bun.
Eu, i-am spus vremil sa stea in loc.
Amintirea mea vreau sa fie-a ta.

La confusione in cui si trovano le nuove generazioni e la voglia di ribellarsi per creare un mondo nuovo, in cui sia definitivamente destituito l’uso delle armi, sono invece rintracciabili nella canzone: Dio è morto.
Mi han detto / che questa mia generazione ormai non crede / in ciò che spesso han mascherato con la fede, nei miti eterni della patria o dell’eroe / perché è venuto ormai il momento di negare / tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e di paura, / una politica che è solo far carriera, / il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, / L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto / e un dio che è morto, / nei campi di sterminio dio è morto / coi miti della razza dio è morto / con gli odi di partito dio è morto / ma penso / che questa mia generazione è preparata / a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, / ad un futuro che ha già in mano, / a una rivolta senza armi, / perché noi tutti ormai sappiamo / che se dio muore è per tre giorni e poi risorge, / in ciò che noi crediamo dio è risorto / (…)
La sveglia con la quale inizia la canzone di Bob Sinclair, Love Generation, è a mio personale giudizio il modo migliore per rappresentare i giovani che accettano di compiere un servizio di volontariato come il nostro: una generazione che vuole far sentire la sua voce e diffondere in tutto il mondo la speranza di un mondo in cui l’unica guerra che si deve iniziare a combattere è quella contro qualunque tipo di pregiudizio e di superficialità, in cui finalmente si possa portare senza vergogna semplicemente se stessi, andando incontro al resto dell’umanità con un sorriso e le mani aperte per elargire la carezza che ogni cane aspetta ogni giorno da ognuno di noi.
L’obiettivo finale del progetto Linking Generations è collegare le persone di Braila che appartengono a generazioni diverse, che altrimenti non avrebbero modo di interagire e confrontarsi realmente. L’esempio per noi dovrà essere la dolcezza della cioccolata più famosa del mondo: la Nutella. Questa bontà italiana, partendo da Torino, è stata in grado di essere conosciuta e amata da tutti, dall’età del biberon a quella della dentiera.

Alessia Bruni, Volontaria Evs

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